Una giornalista romena nella politica internazionale tra la Romania e l'Italia

Bruxelles, 12.11.2021 international - L'attento sguardo del mondo sulla politica estera e su come gli Stati aiutano e difendono i propri cittadini oltre i confini, ci ha portato con lo sguardo proprio in Italia, dove, Izabela Pulpan, una giornalista di origini romene sta dando lezioni di politica della cooperazione e della difesa dei diritti di tutti i deboli.

 
I nuovi leader dei popoli sono persone quasi sconosciute ma scelte grazie ai fatti

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una politica legata alla poltrona, i cittadini oramai si sono rassegnati "tanto i politici sono tutti uguali, arrivano al potere e dimenticano gli impegni presi"...

Invece, gli ultimi cambiamenti radicali nella politica internazionale hanno dimostrato che gli elettori, i semplici cittadini sono attentissimi alla vera politica del fare. Emmanuel Macron appare all'improvviso e ruba la scena a Marine Le Pen, e si distingue per la sua tenacità, giovinezza, volontà di fare; la Francia, sceglie lui ed il mondo resta costernato.

L'America porta la sorpresa del candidato Donald Trump che vuole fare tutto per i suoi cittadini, con un populismo esagerato rasente al razzismo, ma, il popolo sceglie lui per la promessa del "fare".

Nomi sconosciuti ma scelti per la perseveranza e per la volontà di concretizzare, di difendere i propri cittadini sono apparsi in Grecia, in Austria, e in Bulgaria.

In Romania, un nome di un giovane alla guida del Governo fà scalpore; si credeva che la Romania avesse cambiato visione; invece, dopo solo sei mesi, il Primo Ministro Grindeanu viene allontanato dallo suo stesso partito.

  
La giornalista romena che diventa leader di un partito dimostra che vuol dire la politica del fare

Nel corso del Referendum del novembre 2016 abbiamo concentrato l'attenzione sul leader del Partito Stranieri in Italia, giornalista romena, Izabela Pulpan, perchè intervistata dal giornale "Il Mattino" di Napoli, sostiene il "NO" per non togliere i diritti fondamentali agli italiani al fianco di... Salvini nel gruppo "Noi con Salvini" della Campania. Non puoi non scoprire chi è la straniera che alla guida di un partito di tutti gli stranieri, in un momento in cui si parla dei diritti fondamentali degli italiani, soltanto, Lei fa squadra proprio col "nemico" praticamente, per il bene dell'Italia!...
Presente sul territorio italiano, impronta vere battaglie per degli scopi fondamentali, sembrando quasi spedita qui da una forza di un potere immenso... scopre che i bambini vengono discriminati nello sport proprio dal Coni; progetta Cittadinanza Sportiva e fa convegno a Napoli coinvolgendo tutto il mondo istituzionale, ma non riscontra risultati, anzi tentano di boicottarla; con tenacia non si ferma e fa raccolta firme, arriva a Bruxelles a presentare la Petizione e parla dell'importanza dell'uguaglianza dei bambini partendo almeno nello sport, inteso come fondamento nella vera uguaglianza e poi integrazione; non si accontenta del fatto che la Petizione viene ammessa e promossa, e organizza un convegno internazionale a Roma dove coinvolge e porta a presenziare la persona più importante nel mondo nello sport: Marius Vizer - il Presidente di tutte le Federazioni Sportive anche Olimpioniche nel mondo. In breve tempo il compimento della sua missione: Cittadinanza Sportiva, da Lei promossa diventa legge.
Corre in aiuto alle 5000 donne romene sfruttate e costrette ad abortire sui campi di pomodori del Sud Italia dai propri datori di lavoro; denuncia a CEDO, va al Palazzo Chigi e non rinuncia fin quando il Prefetto non prende provvedimenti.
Nello stesso tempo, scrutando la sua attività, scopriamo che inizia a fare indagini giornalistiche e a dare fastidio al sistema corrotto italiano degli assistenti sociali che sottraggono ingiustamente i bambini alle famiglie italiane. Nel 2012 pubblica il libro "Bambini costretti al silenzio e Mamme perseguitate dalla Giustizia". Diventa targhet della guerra degli assistenti sociali che si sentono in pericolo e nel 2015 le tolgono la bambina "con la stessa modalità che lei aveva denunciato nel suo libro" - come riportato dalla gran parte dei media. Scopriamo, dunque, che lei nel rispetto delle Leggi si lascia nelle mani della giustizia e che lotta con più forza e tenacia per la difesa delle famiglie e dei bambini stranieri e italiani oltretutto, denunciando in totale più di quarantamila casi! Nel contempo, stila una proposta di Legge con 27 articoli a difesa dei Bambini e della Famiglia e la presenta a tutti i Parlamentari della Camera e del Senato, Izabela Pulpan raggiunge ancora una volta il target preposto e da quel momento in poi iniziano una serie di attenzioni ai problemi esposti e di conseguenza aumentano le iniziative anche legislative per una maggior difesa di famiglie donne e bambini. Non la troviamo abbandonata e depressa per l'ingiustizia ricevuta, ma guerriera e nello stesso tempo diplomatica nell'accogliere l'On. Matteo Salvini a Napoli con la guerriglia urbana all'esterno della sala del convegno, lei condanna il grande Sindaco della città metropolita partenopea senza ombra di paura : "De Magistris è razzista, non Salvini", ed ascoltando il suo intervento, percepiamo quanta diplomazia e quanto coraggio nel dire" De Magistris è il Sindaco di tutti, deve ricevere tutti in egual modo", "sarò la prima a votare te, Salvini, se ti candidi come Primo Ministro, però... quanta diplomazia e forza..."se fai stare in tranquillità i miei concittadini stranieri che lavorano in Italia e contribuiscono alla crescita del paese".
Come se non fosse abbastanza, quando il Vicepresidente della Camera dei Deputati - l'On. Luigi di Maio insulta il popolo romeno, non perde tempo e passa all'azione, ma non per fare bella figura nella stampa come hanno fatto altri personaggi politici e romeni, ma dando dimostrazione di coraggio e lealtà nei confronti della sua Romania e del popolo romeno fuori dal comune: ha denunciato il "di Maio" alla Procura della Repubblica prendendosi tutte le responsabilità del caso!

Adesso ci chiediamo:
Chi saprà utilizzare per primo la tenacia e la forza della trascinatrice di aderenze di questa donna, l'Italia o la Romania?

Sicuramente, con un popolo che ha fatto quasi una rivoluzione per destituire il Governo, non starà con le mani in mano e approfitterà di ciò che gli si dà sul piatto d'argento... , anche perchè, la giornalista non è politicizzata con alcun partito romeno, una mossa da scacco matto con una figura di spicco che farà davvero le cose e che non può essere accusata di nepotismo, ma solo di trionfo dimostrato sul campo con i fatti…

Cosa ben diversa in Italia, ove secondo la Izabela Pulpan in tempi non sospetti esordì nel dire che potrebbe cambiare il Governo poichè a detta di molti italiani attualmente vige un governo non eletto, che non darà spazio a nessuno che non sia Pd (era il 2017). Attenzione, però, la romena va forte: sulla tematica dei bambini, come una leonessa che vede il proprio cucciolo chiuso in gabbia ingiustamente. Infatti, appuriamo che col Dipartimento Internazionale Difesa Bambini e Famiglia ha informato nei dovuti tempi, il Papa Francesco Bergoglio, il Presidente dell'Italia, il Presidente della Romania, oltre ad aver invitato il Presidente Commissione Parlamentare per l'Infanzia e l'Adolescenza, l'On. Michela Brambilla, per una discussione risolutiva senza dimenticare il Ministro della Giustizia l'On. Andrea Orlando; si vede che tiene sotto controllo le rappresentanze quasi ad attendere i loro passi falsi e restituire il dovuto a debito momento.

In un articolo del 2015 si parlava di Lei e delle sue realizzazioni ove metteva al centro l'interesse degli altri, in uno dei commenti, un cittadino italiano esordì: "e che aspettate voi, cittadini della grande Repubblica di Romania, a farla Ministra, anzi Presidente?

Noi abbiamo fiuto per i grandi personaggi... Vi porteremo dentro la notizia quando Izabela Pulpan, contesa tra il Parlamento Romeno e quello Italiano, sarà eletta…

To be continued...

La Boldrini
emette già sentenze:
“Via Salvini e Meloni”

Roma, 08.10.2021 ilgiornale - Continua l'eco prodotto dall'inchiesta "Lobby nera", sulla quale anche l'ex presidente della Camera Laura Boldrini, com'era ovvio attendersi, ha voluto dire la sua: cogliendo al volo l'occasione propizia, l'ex presidente della Camera dei deputati ha attaccato sia il leader di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni che il segretario del Carroccio Matteo Salvini.
Pur essendo ancora in corso l'inchiesta di Fanpage sul caso Fidanza, la rappresentante dem ha preferito non attendere oltre per affondare il colpo e chiedere esplicitamente le dimissioni dei suoi acerrimi rivali politici. Come le è capitato in altre circostanze, la Boldrini ha scelto i social network per sputare veleno: "In un Paese normale, dopo l’inchiesta di Fanpage, ci sarebbe stato un terremoto politico", ha esordito l'ex Leu su Twitter. "Salvini e Meloni si sarebbero fatti da parte. Invece no, stanno ancora lì. 
Ma noi continuiamo a dire: fuori l’ideologia fascista dalle istituzioni repubblicane", ha concluso.
Insomma, nessun bisogno di attendere oltre, senza considerare le responsabilità reali ed i risvolti della vicenda, la Boldrini ha già emesso la propria sentenza di condanna. 
Solo una sentenza ha fatto gridare allo scandalo il deputato dem, quella formulata contro l'ex sindaco di Riace Domenico Lucano: da brava paladina delle Ong che caricano clandestini nelle acque del Mediterraneo, l'ex presidente della Camera non poteva restare insensibile, fino a commuoversi profondamente per la "sentenza abnorme". 
Dopotutto, cosa saranno mai i reati contestati all'ex cittadino di Riace? Si parla "solo" di favoreggiamento di immigrazione clandestina, truffa e abuso di ufficio, per ben 13 anni e 2 mesi di reclusione.
Con l'opportunità perfetta per rifarsi sui suoi avversari politici, anche per la frustrazione dovuta alla condanna dell'adorato Lucano, l'esponente dem non ha esitato ad attaccare a testa bassa. 
A nulla sono valse le parole della leader di FdI Giorgia Meloni, che ha attaccato duramente Carlo Fidanza, parlando addirittura di espulsione dal partito in caso di avvicinamento ad ambienti razzisti e filofascisti. La stessa Meloni è lontana da simili deprecabili ideali. 
Per Laura Boldrini la colpa è assoluta, e tutti devono subire le conseguenze. Si tratta di un'occasione troppo ghiotta per potersi vendicare dei "nemici" del centrodestra.

Lucarelli contro Boldrini:
“Altro che rispetto, ecco le denunce delle donne che hanno lavorato con Lei”

Roma, 23.03.2021 secoloditalia - Laura Boldrini, la paladina delle donne, sempre in prima linea per difendere i diritti, stavolta deve difendersi dall’accusa di aver “maltrattato” le sue collaboratrici. 
Lo si legge in un articolo del Fatto Quotidiano, a firma di Selvaggia Lucarelli. Dalle testimonianze riportate emerge un’immagine diversa dell’ex presidente della Camera ed ed esponente del Pd.
Laura Boldrini, il racconto della collaboratrice domestica:
Si parte con Lilia, collaboratrice domestica moldava che si è dovuta rivolgere a un patronato della Capitale. La sua datrice di lavoro per otto anni, a dieci mesi dalla chiusura del contratto, non le avrebbe pagato la liquidazione. 
Il Fatto riporta il suo racconto. «Io non voglio pubblicità, ma confermo che a maggio dello scorso anno ho dovuto dare le dimissioni perché la signora, dopo tanti anni in cui avevo lavorato dal lunedì al venerdì, mi chiedeva di lavorare meno ore, ma anche il sabato. E io ho famiglia, dovevo partire da Nettuno e andare a casa sua a Roma, per tre ore di lavoro. Siamo rimaste che faceva i calcoli e mi pagava quello che mi doveva, non l’ho più sentita. Io sono andata al patronato, ho fatto fare da loro i calcoli. La sua commercialista mi ha detto che mi contattava e invece è sparita. Alla fine, tramite l’avvocato messo a disposizione dal patronato, ora siamo in contatto, mi faranno sapere. Io comunque la signora non l’ho mai più sentita, non la volevo disturbare. Mi dispiace perché non sono tanti soldi, circa 3.000 euro, forse è rimasta male che non abbia accettato di andare il sabato. Io ero dispiaciuta».
La storia di Roberta, ex collaboratrice parlamentare:
Nell’articolo si racconta anche la storia di Roberta, ex collaboratrice parlamentare che da Lodi andava a lavorare a Roma. «Guadagnavo 1.200/1.300 euro al mese, da questo stipendio dovevo togliere costi di alloggio e dei treni da Lodi», dice. E aggiunge: «Ero assunta come collaboratrice parlamentare e pagata quindi dalla politica per agevolare il lavoro di un parlamentare, ma il mio ruolo era anche pagare gli stipendi alla colf, andarle a ritirare le giacche dal sarto, prenotare il parrucchiere. Praticamente facevo anche il suo assistente personale, che è un altro lavoro e non dovuto. Dovevo comprarle trucchi o pantaloni. Lei ha una casa a Roma, quando rimaneva sfitta io portavo pure gente a vedere l’appartamento o chiamavo le agenzie immobiliari. Per questi problemi con la colf bisognava ricostruire tutti i suoi pagamenti, un’ansia pazzesca». 
Roberta spiega al Fatto  che «a maggio finito il lockdown, ho chiesto di rimanere in smart working… Lei mi ha risposto che durante il lockdown con lo smart working avevo risparmiato. 
A un certo punto parte del suo staff aveva pensato di fare una colletta per pagarmi i treni. Ho dato le dimissioni sfinita».
“Capricci assurdi”
Anche un’altra persona che collaborava con Laura Boldrini conferma al Fatto: «Tutti i giorni scrive post sui bonus baby-sitter o sui migranti in mare, poi però c’erano situazioni non belle in ufficio. O capricci assurdi. Se l’hotel che le veniva prenotato da noi era che so, rumoroso, in piena notte magari chiamava urlando. Poi magari non ti parlava per due giorni. Io credo che ritenga un privilegio lavorare con lei, questo è il problema. 
Chiarisco però che alcuni dipendenti li tratta bene, specie chi la adula o chi si occupa della comunicazione, perché quello è il ramo che le interessa di più».

Così Giorgia Meloni
ha allontanato per sempre la Destra dal Fascismo

Roma, 08.10.2021 ilgiornale - Se c'è un politico che ha contribuito ad allontanare la destra italiana in modo definitivo da ogni estremismo, nostalgismi fascisti compresi, quello è Giorgia Meloni. Chiunque abbia avuto a che fare con la destra giovanile dall'insediamento della Meloni alla presidenza di Azione Giovani (il movimento giovanile di An) in poi, lo sa. Fiuggi c'era già stata, ma la gestione della "ragazza della Garbatella" ha contribuito, più di tanti altri passaggi, allo sradicamento di velleità estremistiche e di rimasugli vari. Negli anni Novanta, essere di destra, in Italia, inizia ad essere giustificato ma non è comunque semplice. Una giovanissima Giorgia Meloni costruisce così una realtà post-ideologica, proprio Ag, che diviene maggioritaria nelle scuole, pure in termini elettorali, grazie alla passione per la libertà e allo stile post-ideologico delle battaglie. È così che tanti giovani hanno la possibilità di definirsi di destra senza essere etichettati come fascisti dalla sinistra. Un fatto noto pure all'intellighenzia a cui tuttavia non conviene ricordarlo. Forse certa sinistra preferisce l'andazzo di prima. Fratelli d'Italia nasce sulla scia di quella esperienza, che è appunto condita da un percorso complesso. Facciamo di nuovo un passo indietro. Siamo sempre negli anni 90'. La Meloni appartiene ad una comunità politico-umana, interna ad An, ma denominata dall'ambiente "i gabbiani", che sono conosciuti per non avere la suggestione del fascismo. Altre correnti pensano che la comunità della Meloni, con tutto quell'aperturismo, stia rinunciando all'identità sociale, in funzione di un dialogo non giustificato con le forze centriste e liberali. La storia, come si sa, darà ragione ai "gabbiani" e torto ad altri. E in termini di condanne del fascismo è già stato scritto tutto in questo articolo. Nelle loro sezioni, i gabbiani leggono Pier Paolo Pasolini, che nei limitrofi considerano un avversario. Per non parlare delle canzoni di Francesco Guccini che quei ragazzi, cresciuti tra Colle Oppio e Garbatella, conoscono a memoria. Arriva il 1996: Giorgia Meloni fonda un coordinamento studentesco denominato "Gli Antenati". Lo scopo è quello di contrastare la riforma della scuola voluta dall'allora ministro Rosa Russo Iervolino. Al comitato non aderiscono soltanto i giovani di destra, ma la "maggioranza silenziosa" che la Meloni proverà a rappresentare dapprima con Ag e poi con Fdi. Sono gli albori di una parabola in corso. "Tutti gli uomini di valore sono fratelli" è il titolo di un manifesto affisso alla Sapienza dai "gabbiani" in quel periodo. La raffigurazione presenta Ezra Pound, ma pure Che Guevara, Anna Magnami ed Aldo Fabrizi, ma pure Antonio Gramsci. Se quest'ultimo odia gli indifferenti, la giovane Meloni "detesta la gente che non sogna". Per l'ambiente di An è un mezzo scandalo, perché quell'immagine affissa è una cesura definitiva con le divisioni del passato. Persino Gianfranco Fini, che in materia di sdoganamenti non ha mai fatto mancare il suo apporto, non vede certe istanze di buon occhio. La Meloni ed i gabbiani si dicono contrari alla pena di morte, a differenza dei colonnelli del partito, e procedono con battaglie ambientaliste ante-literram, tipo quella contro il nucleare, che Fini invece vorrebbe. "Fare Verde", l'associazione ambientalista animata dal compianto Paolo Colli, è un fenomeno che An fatica a comprendere. Ma Fabio Rampelli, Marco Scurria, Marco Marsilio, Francesco Lollobrigida, Nicola Procaccini e tanti altri hanno la loro impostazione e tirano dritto. Negli anni Novanta si usa fare quello che viene chiamato "presente". È una cerimonia commemorativa che riguarda ogni singolo ragazzo di destra caduto tra gli anni sessanta e l'inizio degli anni ottanta per via degli Anni di Piombo. Le comunità si alternano dinanzi ai luoghi della memoria. Alcune realtà fanno il "saluto romano". La Meloni ed i suoi no: commemorano, ma cancellano il saluto fascista dalla prassi. Azione Giovani tutta si adegua. Sta nascendo una destra che oltrepassa gli ideologismi. L'ha costruita la Meloni, la stessa cui oggi cercano in tutti i modi di appiccicare un'etichetta quando non sanno che altro dire.

Giuseppe Conte presidente M5S illegittimo - Lorenzo Borrè: Elezioni da ripetere

Roma, 06.09.2021 ilsussidiario – Giuseppe Conte presidente M5S illegittimo: questa la dura accusa di alcuni attivisti, che saranno difesi da Borrè, l’avvocato che ha vinto tutto contro il Movimento centrale. È passato appena un mese dalla sua elezione a presidente del Movimento 5 Stelle e arrivano i primi guai per Giuseppe Conte. L’ex premier, che dopo aver lasciato l’incarico a Mario Draghi ha deciso di avvicinarsi sempre più al Movimento, è infatti finito al centro di una disputa legale che verrà aperta da chi sostiene che la sua carica da presidente sia illegittima. A difendere il ricorso è l’avvocato Lorenzo Borrè, che fino a oggi ha vinto tutte le cause più importanti nei ricorsi dei grillini contro il M5S centrale: “Sul sito dedicato alle iscrizioni risulta che a tutt’oggi le nuove iscrizioni sono sospese e non ci risulta che Conte si sia iscritto ai tempi della piattaforma Rousseau“. “Non si tratta di risolvere problemi giuridici, ma di rispettare le indicazioni date dagli Stati generali, che certo non andavano nella direzione di una nomina del nuovo capo con una votazione a numero chiuso o, peggio, con candidato unico” ha spiegato Borrè a La Stampa. L’avvocato ha poi aggiunto: “Se il Tribunale accoglierà l’istanza di sospensione cautelare si dovranno ripetere le votazioni. Conte? Non ci ha contattati, quando viene meno la possibilità di un reale confronto politico, l’opzione giudiziaria diventa obbligata e in quel campo il confronto è tra gli avvocati delle parti“.
Giuseppe Conte presidente M5S illegittimo, non è iscritto - Primi guai per Giuseppe Conte alla guida del Movimento 5 Stelle, come li affronterà? Arrivato a Napoli per presentare i candidati alle prossime elezioni comunali, l’ex premier è stato accolto con una brutta notizia. Una notifica di ricorso giudiziario per l’annullamento del nuovo statuto redatto da Conte è in arrivo e un gruppo di attivisti, sentiti da Adnkronos, hanno annunciato: “Sono sette gli articolati motivi di illegittimità, non solo procedurali, che verranno illustrati nei prossimi giorni in conferenza stampa“.
L’iniziativa, che ha portato con sé anche l’apertura di una raccolta fondi su una famosa piattaforma per avere avere uno “Scudo della rete” com previsto da Rousseau, nasce “a seguito della deriva verticistica che ha portato ad accantonare le regole e i principi fondanti del M5S, con conseguente sospensione della democrazia interna“. Diversi i punti che hanno portato i ricorrenti ad impugnare l’elezione dell’avvocato di Voltura Appula, tra cui la mancata iscrizione di Conte al Movimento: “Il 17 luglio 2021 reggente grillino Vito Crimi avrebbe chiesto all’Associazione Rousseau di effettuare l’iscrizione di Giuseppe Conte al Movimento 5 Stelle, adempimento non ottemperato da detta Associazione“.
Giuseppe Conte presidente M5S illegittimo: i motivi del ricorso - Secondo quanto riferito ad Adnkronos da parte dei ricorrenti, la carica di Giuseppe Conte come presidente del Movimento 5 Stelle sarebbe illegittima. Il ricorso sarà presentato a Napoli, ma vede come promotori sia alcuni attivisti storici che si sono rivolti all’avvocato Lorenzo Borrè, ma anche militanti provenienti da diverse parti d’Italia. Tra i punti contestati c’è “il mancato raggiungimento del quorum della ‘metà degli iscritti’ per l’approvazione del nuovo statuto – avendo Crimi ritenuto bastevole la partecipazione alla votazione della metà degli aventi diritto al voto“. Ma gli attivisti contestano anche altro: “La nullità della clausola statutaria che prevedeva l’eleggibilità del solo Conte, l’esclusione dal diritto di voto degli iscritti da meno di sei mesi, la pubblicazione della convocazione su una piattaforma ignota alla maggioranza degli iscritti“. Da parte degli attivisti è infatti arrivata l’accusa: “Dai piani alti del partito fu chiesto all’Associazione Rousseau di pubblicare sulla propria piattaforma un avviso di trasloco del sito all’indirizzo .eu“.

Washington, 27.08.2021 kmetro – Occorre “un’attenta riflessione per capire come mai l’America si sia ritrovata a dare l’ordine del ritiro, con una decisione presa senza preavviso né accordo preliminare con gli alleati e con le persone coinvolte in questi vent’anni di sacrifici. E come mai la principale questione in Afghanistan sia stata concepita e presentata al pubblico come la scelta tra il pieno controllo dell’Afghanistan o il ritiro totale”. Lo ha scritto Henry Kissinger in un intervento sull’Economist pubblicato oggi dal Corriere della Sera dopo “la riconquista dell’Afghanistan da parte dei talebani”.
“Ci siamo persuasi – secondo Kissinger, ex consigliere per la sicurezza nazionale ed ex segretario di Stato degli Stati Uniti – che l’unico modo per impedire il ritorno delle basi terroristiche nel Paese era quello di trasformare l’Afghanistan in uno Stato moderno, dotato di istituzioni democratiche e di un governo insediato su base costituzionale”, ma “una tale impresa non poteva prevedere un calendario certo, conciliabile con i processi politici americani”.
Per Kissinger, “la lotta ai ribelli poteva essere ridimensionata a contenimento, anziché annientamento, dei talebani” e “il percorso politico-diplomatico avrebbe potuto esplorare uno degli aspetti particolari della realtà afghana: che i Paesi confinanti, anche se in aperta ostilità tra di loro e non di rado con l’America, potessero sentirsi profondamente minacciati dal potenziale terroristico dell’Afghanistan”. “Una diplomazia creativa avrebbe potuto distillare misure condivise per debellare il terrorismo in Afghanistan. Questa alternativa non è mai stata esplorata”, conclude, convinto che l’America non possa “sottrarsi al suo ruolo di attore chiave nell’ordinamento internazionale”. 

Trump torna all’attacco dopo l’attentato a Kabul: “ora Biden deve dimettersi”

New York 26.08.2021 fanpage - Donald Trump contro Joe Biden, ancora. In un confronto elettorale che sembra non essere mai terminato, l'ex presidente degli Stati Uniti non perde l'occasione per attaccare a viso aperto il suo successore, che in questi giorni sta gestendo il fallimentare ritiro dall'Afghanistan. Dopo l'attentato di Kabul, con decine di morti e centinaia di feriti, il Tycoon è tornato a puntare il dito contro il presidente: "Joe Biden dovrebbe dimettersi, il che non dovrebbe essere un grosso problema dal momento che non è stato eletto legittimamente dal principio", ha detto ai suoi elettori commentando i fatti di Kabul e tornando a insinuare il falso, cioè che Biden abbia truccato le presidenziali e non sia stato eletto democraticamente.
Trump è già in corsa per le elezioni del 2024 e guarda a quelle più vicine, di midterm nel 2022, con grande interesse. Nei giorni scorsi è stato lanciato un video per la sua campagna presidenziale in cui attacca Biden: "Ha mentito all’America e al mondo quando ci disse che l'America era tornata – dice la voce narrante – Invece, si è arreso ai talebani e ha lasciato gli americani morire in Afghanistan". Questo "passerà alla storia come uno dei più grandi fallimenti militari". E ancora: "Sono i talebani a essere tornati, non l’America".
Ad attaccare il presidente Biden, che in queste ore ha gli occhi del mondo puntati su di lui, è stato anche il generale H. R. McMaster, consigliere per la sicurezza nazionale Usa sotto Trump fra il 2017 e il 2018. Quanto accaduto a Kabul "è solo l'inizio", quello che sta succedendo è la conseguenza di "quando ti arrendi a un'organizzazione terroristica". Il generale, però, non ha risparmiato critiche anche al Tycoon, per essersi piegato all'accordo con i talebani. Secondo McMaster "stiamo assistendo alla creazione di uno Stato terrorista e jihadista in Afghanistan e vi sarà per tutti noi un rischio molto maggiore da affrontare come conseguenza".

Afghanistan:
già tutto scritto in quella stretta di mano

Il 29 febbraio 2020 nel lussuoso Sheraton Gran Doha in Qatar si chiuse la fallimentare esperienza ventennale della Nato.

Kabul, 26.08.2021 huffinghtonpost - Il 29 febbraio 2020 nel lussuoso Sheraton Gran Doha, in Qatar, si chiuse la fallimentare esperienza ventennale dell’occupazione Nato dell’Afghanistan. Dopo 6 anni dall’inizio del dialogo, prima segreto e poi pubblico, tra i talebani e gli Stati Uniti si firmavano solennemente le 4 paginette dell’Accordo per la Pace in Afghanistan.  I firmatari erano Zalmay Khalilzad, diplomatico afgano-statunitense e il rappresentante talebano Abdul Ghani Baradar. Il governo in carica negli Stati Uniti era presieduto da Donald Trump. L’accordo venne appoggiato dal consiglio di Sicurezza dell’ONU, dalla Russia, dalla Cina e dal Pakistan, e “apprezzato” dall’India. Il Governo afghano venne lasciato fuori, a dimostrazione della considerazione di Washington nei confronti della sua creatura politica. I negoziati tra le parti afgane dovevano iniziare a Oslo un mese dopo, ma fallirono da subito. Tutto ciò che sta succedendo ora era quindi già scritto, ma incredibilmente non venne considerato, anzi, molti si aspettavano che Joe Biden cambiasse rotta. Invece è stato confermato che la resa ai talebani è una linea della politica estera Usa, iniziata da Barack Obama, sottoscritta da Donald Trump ed eseguita da Joe Biden. Cosa diceva l’accordo? Che se i talebani avessero garantito la rottura politica con Al Qaeda e Isis, e non avessero permesso che potessero operare dal loro territorio, sarebbero state eliminate le sanzioni contro i talebani e ritirate le truppe entro 14 mesi dalla firma, cioè entro aprile del 2021. Nelle 4 paginette non si accenna assolutamente ai diritti, alle donne, alla democrazia, al governo successivo al ritiro, alla fine dei collaboratori. In buona sostanza, l’accordo può essere considerato a tutti gli effetti come un accordo di resa da parte della potenza americana che esigeva le minime garanzie sul terrorismo, principale motivazione dell’invasione del 2001, per ritirare le truppe senz’altre contropartite. Fa specie in queste ore di dichiarazioni dettate dall’emotività e dalla preoccupazione, come pochissimi avessero letto questo accordo, come pochissimi avessero pensato che fosse una cosa seria e come pochissimi avessero ipotizzato le conseguenze. Al netto dell’errore logistico grossolano di ritirare prima i militari e poi i civili e di quello politico di stabilire il calendario definitivo senza consultarsi con gli alleati. Con la Nato in ritirata e i talebani vittorioso sul campo, chi poteva credere che sarebbero state “rispettate le conquiste degli ultimi anni”, che “sarebbero stati garantiti i diritti delle donne”, ecc, ecc? E’ come se il mondo occidentale che gravita attorno all’Afghanistan non avesse presso atto della sconfitta politica e militare dell’alleanza guidata dagli Stati Uniti e avesse voluto continuare ad operare ad infinitum in un paese con la capitale controllata dalle forze di occupazione e il resto del paese controllato dalla formazione pashtun dei Talebani. In queste ore tra l’altro, è difficile trovare visioni critiche sul definitivo fallimento dello strumento bellico per operazioni di nation building o di esportazione della democrazia teorizzata a cavallo del cambio di secolo da repubblicani e democratici Usa. Anche per quanto riguarda l’Iraq, il grande dimenticato da tutti. Le cose stanno ora così, da un lato un presidente Usa, che pur sbagliando tempistiche, tiene fede all’impegno bipartisan sottoscritto con i talebani che sancisce che per il suo paese l’unica cosa che interessa è la sicurezza nei confronti del terrorismo, dall’altro i paesi occidentali che negli anni hanno dovuto giustificare la loro presenza sui campi di battaglia con alti propositi di civiltà. Soprattutto quello che riguarda il filone dei diritti delle donne. E che ora non sanno cosa fare, con l’alleato americano che si squaglia, i cittadini ostili all’arrivo di nuovi profughi e il dovere rendere conto dell’errore nel quale si è insistito per vent’anni bruciando risorse ingenti. L’Afghanistan è costato agli alleati oltre 2.300 miliardi di dollari, più di 100 volte il Pil del paese per giungere a nulla. Ma forse, ciò che fa più paura in Europa è che si impone con urgenza il ripensamento della politica atlantistica del dopo Guerra e dell’allineamento a prescindere con gli Stati Uniti. Fa paura pensare che ci vorrebbe un’Europa unita e con una politica estera solida. Fa paura constatare che si può essere un gigante economico e un nano politico allo stesso tempo. Nella nuova geopolitica mondiale, tra i giocatori abilitati manca l’Europa, ma mancano anche i singoli paesi europei che furono potenze mondiali. Giganti economici e nani politici appunto.

Merkel - Putin, un mondo arrivato a fine corsa

Berlino, 21.08.2021 formiche - Il direttore della NATO Defense College Foundation: “Putin ha inviato un messaggio preciso quando ha detto che noi russi conosciamo bene l’Afghanistan e sappiamo come funziona. La mossa più importante fatta da russi e cinesi già prima dell’avanzata talebana è stata la Sco, la Shanghai Cooperation Organization, diventata nel tempo una grossa piattaforma politico-diplomatica”.
Il vertice Merkel-Putin? Un mondo arrivato a fine corsa. Lo dice a Formiche.net Alessandro Politi, Direttore della NATO Defense College Foundation, che scompone l’incontro di ieri tra i leader tedesco e russo per immaginare il nuovo scenario che tocca anche il dossier centro-asiatico, alla luce dell’emergenza afghana e del ruolo propositivo di Mario Draghi, fautore del G20 straordinario. La Germania rimane uno dei principali partner della Russia in Europa e nel mondo, ha detto Putin dopo il vertice con Merkel. Che messaggio hanno dato i due leaders? È stato un vertice particolare, a cui entrambi i leaders sono giunti visibilmente affaticati e con un aspetto che dice molto più di dichiarazioni diplomatiche. Le bandiere erano distanti, mentre in altre conferenze stampa erano più vicine. Ho notato un Putin molto asciutto: negli organismi bilaterali creati tra i due Paesi le attività proseguono a ritmo intenso. È straordinario come due Paesi che certamente hanno dei problemi sulla risoluzione di questioni gravi, poi riescano a mantenere una buona relazione fra enti. Certo, non sappiamo cosa accadrà dopo le imminenti elezioni tedesche, ma esiste una base di rapporti russo-tedeschi molto forte. Interessante è stata anche l’espressione del ministro degli esteri russo. Ovvero? Sergej Lavrov è apparso a tratti completamente esausto, mentre Putin è ormai logoro da decenni di potere che influiscono sull’aspetto: rughe, occhi infossati, capelli diradati. Non è il leader di cinque anni fa. Pensiamo a Obama, che curava non poco la forma fisica: dopo due mandati anche lui ha avvertito fisicamente la fatica, come dimostrano i capelli bianchi. Per cui penso che sia stata una conferenza stampa estenuata, che va molto oltre il rapporto russo-tedesco. È un mondo che sta arrivando a fine corsa.
Afghanistan: Putin ha detto che il Paese non deve sgretolarsi completamente. Cina e Turchia reciteranno un ruolo, con Mosca un passo indietro? Sul tema, Putin è stato spietato: va impedito il decadimento dello stato afghano, ha detto, alludendo ad una possibile guerra civile da evitare. Ha definito malfunzionante l’idea dell’esportazione democratica in aree che non la vogliono, aggiugendo: “Noi russi conosciamo bene l’Afghanistan e sappiamo come funziona”. Un monito rivolto a chi? Intanto sulla Sna, l’agenzia di stampa di Sputnik, la conferenza stampa è stata pubblicata in tempi rapidissimi. Il crollo dell’Afghanistan si somma alle parole che ha dedicato alla soluzione del caso bielorusso che deve avvenire, ha precisato Putin, nell’ambito dei meccanismi istituzionali e senza ingerenze esterne, come accaduto in Ucraina. Come sua abitudine il presidente russo ha inviato messaggi secchi e pratici, con un modo alquanto rilassato. È come se avesse fatto un bilancio, nel modo più chiaro possibile per dire a tutti che il mondo deve essere multilaterale, perché non vale più il modello Washington. Questa volta la Russia si irriterà con i due alleati ultra invasivi? Putin non ha detto nulla sul ruolo turco e cinese, ma ho l’impressione che la Turchia ha un certo influsso nel quadro regionale immediato, dove esiste la capacità di sfruttare l’eredità delle popolazioni turcofone in Asia centrale. Un decennio fa non funzionò, però, come non riuscì nemmeno all’Iran, zavorrato dall’handicap dello sciismo. I turchi quindi faranno il loro gioco in Afghanistan, contando sulla possibile ricostruzione ma realizzata all’interno di un quadro politico stabile, in mancanza del quale ci sarà un altro ciclo di guerra civile. Non ne vedo adesso in superficie le condizioni, ma non dimentichiamo che la coalizione talebana non è proprio una forza monolitica. La mossa più importante fatta da russi e cinesi già prima dell’avanzata talebana è stata la Sco, la Shanghai Cooperation Organization, diventata nel tempo un’importante piattaforma politico-diplomatica. Non credo verrà messa a rischio semplicemente per accaparrarsi pezzi di Afghanistan, ma si arriverà ad un accordo pragmatico. La Bri è già in movimento e ci sarebbe troppo da perdere. Osservo inoltre che l’Afghanistan è sì un transito utile, ma non indispensabile dal punto di vista delle linee di comunicazione. G20 straordinario sull’Afghanistan, Mario Draghi si muove sempre più da leader europeo: ma cosa potrà ottenere? Draghi è un premier di calibro europeo, perché in Europa ci sa stare senza complessi portandosi dietro la sua esperienza di banchiere centrale che è diversa da quella politica. Ora sta provando a cercare un foro multilaterale dove il dossier afghano non sia soltanto una questione europea. Positivo il fatto che il G20 includa l’Arabia Saudita, uno dei maggiori finanziatori dei talebani e del Pakistan. E il fatto che lo abbia convocato in tandem con Macron è un modo per dire a tutti che ci si muove comunque, a prescindere dalle elezioni tedesche. Un passaggio che trovo estremamente sano visto che in passato la politica italiana è stata perennemente attendista. Nord Stream 2: dopo le minacce Usa, l’accordo tra Berlino e Mosca è comunque arrivato e i lavori sono ultimati. Dunque non cambia nulla? No. Su questo versante è importante vedere in prospettiva le cose. È la terza volta che gli europei fanno dei gasdotti con sovietici o russi, con un’iniziale opposizione statunitense poi ricomposta. Prima sotto le amministrazioni Carter e Reagan, che scelsero di concentrarsi sugli euromissili; poi con il Nord Stream 1 dove alla fine Bush capì che c’erano altre priorità; e con il Nord Stream 2 dove la contrapposizione è stata ancora più vigorosa, perché ormai i paesi dell’est erano dentro Visegrad ed avevano voce in capitolo. Posso capire che geopoliticamente si sentissero fragili, ma per la Polonia sarebbe utile evitare situazioni dove rischi ancora una volta di essere il vaso di coccio in attesa di alleati troppo distanti e disinteressati.
Gli afghani si devono unire e difendere il loro paese.
L' America non è più il guardiano del mondo" dice il presidente Usa

Biden abbandona l’Afghanistan e le sue donne alla vendetta spietata dei talebani

Washington, 12.08.2021 lavocedinewyork - In Afghanistan si combatte, ma c’è chi non si arrende e continua ad insegnare alle bambine. “Un bambino un insegnante una penna e un libro possono cambiare il mondo” aveva detto Malala Yousafzai, la giovane pachistana ferita al volto dai talebani perché voleva andare a scuola.
Ce ne siamo andati dall’Afghanistan seguendo la scelta degli Stati Uniti, ma non possiamo permettere che queste nuove generazioni siano abbandonate agli integralisti. Ogni giorno arrivano notizie sulle nuove conquiste dei talebani che puntano su Kabul, la capitale. Un’ascesa rapidissima in diretta tv e social media che lascia senza fiato dopo 20 anni di presenza militare delle truppe straniere e progetti umanitari delle Nazioni Unite.
Che cosa abbiamo fatto andandocene così, senza un accordo vero tra talebani e governo afghano? Biden ha affermato che la sua decisione è irreversibile. “Gli afghani si devono unire e difendere il loro paese. L’ America non è più il guardiano del mondo”. Non fa una piega e gli americani non vogliono più mandare i loro figli a morire lontano da casa per difendere governi che non sono strategici per il loro paese.
I problemi oggi sono altri, ci pensino le nazioni asiatiche, dicono, la Cina per esempio, mentre l’Europa che teme una nuova ondata di profughi afghani in fuga dalla guerra, simile a quella siriana. Non migranti economici, attenzione, ma profughi in cerca di asilo. Sono migliaia le famiglie in fuga dai combattimenti. Stanno andando nella blindatissima Kabul, che potrebbe capitolare nel giro di 90 giorni dice l’intelligenza americana. In tanti stanno attraversando il confine con l’Iran e con il Pakistan. I figli più forti si metteranno in cammino per l’Europa. È sempre stato così.
Intanto oggi a Doha ci saranno nuovi incontri separati dei negoziatori ai quale parteciperanno l’inviato Usa Khalilzad, i talebani, una delegazione del governo afghano, alcuni paesi confinanti tra cui Cina e Pakistan. Gli americani dovevano pensarci bene prima di ritirarsi senza un vero accordo di pace. Hanno scatenato il caos mettendo a rischio quanto fatto in 20 anni a partire dai diritti delle donne.
Nei distretti conquistati dai talebani l’ufficio delle Nazioni Unite sui diritti umani denuncia esecuzioni, omicidi mirati per vendetta, scuole bruciate, case saccheggiate, restrizioni imposte alle donne. Potrebbe essere già troppo tardi. I colloqui di Doha rischiano solo di mostrare la forza dei talebani che siedono tronfi delle loro conquiste e già fissano le loro condizioni, anche se gli Usa minacciano di non riconoscere un loro futuro governo. Si poteva fare meglio, non c’è dubbio.

Il Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella
entra nel "semestre bianco": cosa significa, perchè fu scritta questa norma e cosa prevede?

Roma, 1.08.2021 corriere - Dal 3 agosto il presidente Mattarella non potrà sciogliere le Camere: se cade il governo resta un’opzione estrema. Storia di una norma nata per timore di un golpe «legale»
«Un piccolo colpo di stato legale». Era questo il pericoloso scenario che Renzo Laconi, membro dell’Assemblea costituente per il Pci, tratteggiò davanti ai colleghi impegnati con lui a scrivere la nostra Magna Charta se non fosse stata tolta ai capi dello Stato la facoltà di sciogliere le Camere durante gli ultimi sei mesi del loro mandato. Secondo l’esponente comunista sardo, infatti, c’era «il rischio» che un presidente in scadenza congedasse il Parlamento soltanto «per aver prorogati i propri poteri e avvalersi di questo potere prorogato per influenzare le nuove elezioni».
Dubbi e diffidenze a futura memoria. Uno scrupolo maturato sull’idea che fosse necessario tutelare al massimo l’appena nata democrazia italiana. Per Laconi serviva insomma una norma che fungesse da antidoto in grado di rendere non praticabili tentazioni manovriere e di stampo autoritario da parte di un presidente, chiunque fosse. Il quale presidente, se le cose fossero invece rimaste come si era fino a quel momento previsto, avrebbe potuto esercitare pressioni o addirittura sbarazzarsi in anticipo degli inquilini di Montecitorio e Palazzo Madama, per far eleggere assemblee a lui più favorevoli e confidare magari in un secondo mandato.
Era più che altro una suggestione. Ma allora — si era tra il 1946 e il gennaio del ’48 — i timori di un fascismo risorgente in nuove forme erano ancora diffusi. E bastarono a far approvare di corsa il secondo comma dell’articolo 88, nel quale si introduceva il «semestre bianco» con cui da domani dovrà fare i conti Sergio Mattarella. Un «buco nero», lo hanno definito (senza troppa fantasia cromatica), perché annichilisce l’arma più forte della quale il capo dello Stato dispone. Cioè la minaccia di spedire tutti a casa, nel caso si materializzi una crisi senza uscita. Ipotesi non del tutto peregrina, considerate le sempre meno latenti tensioni nella maggioranza.
Mattarella deve averci pensato sopra, visto che il 2 febbraio scorso, mentre si preparava ad affidare l’incarico di governo a Mario Draghi, trovò modo di rievocare la frustrante esperienza di un suo predecessore, Antonio Segni. Ricordò che nel 1963 lo statista sassarese aveva inviato un messaggio alle Camere in cui spiegava come fosse «opportuno introdurre in Costituzione il principio della non immediata rieleggibilità del presidente della Repubblica», puntualizzando che «il periodo di sette anni è sufficiente a garantire una continuità nell’azione dello Stato».
Segni aveva aggiunto che la sua proposta, oltre a «eliminare qualunque, sia pur ingiusto, sospetto che qualche atto del capo dello Stato sia compiuto al fine di favorirne la rielezione», imponeva un altro, conseguente passaggio. «Abrogare» la disposizione che mutila il potere di scioglimento quando il settennato di un presidente sta per concludersi. Il fatidico semestre, appunto, rimasto sempre intatto. Unica eccezione, una modifica funzionale votata dal Parlamento nel 1991, per evitare «l’ingorgo istituzionale» che si crea quando la fine di una legislatura coincide con la fine di un incarico al Quirinale (avveniva con Cossiga «regnante»).
E qui è inevitabile porsi una domanda. Il «semestre bianco» ha ancora senso? «Non ne ha molto» per l’ex presidente della Consulta Valerio Onida, il quale rammenta come i capi dello Stato «non sono mai diventati finora quel che poteva spaventare i costituenti, e ciò rappresenta quasi una garanzia... Senza calcolare che, al di là del problema della rieleggibilità, non è comunque vero che possano sciogliere le Camere come e quando vogliono, a loro discrezione». Opinione condivisa da Giovanni Maria Flick, anch’egli emerito della Consulta, che considera il semestre bianco «superato e contraddetto dai fatti», ossia dalla interpretazione «elastica ma, nella sostanza costituzionalmente corretta, alla quale si sono tenuti i capi dello Stato». Di preoccupante, per lui, c’è semmai «la prospettiva che adesso scatti nei partiti una logica da liberi tutti con rincorsa a litigare, a costo di rompere l’alleanza di governo, nella poco responsabile convinzione che tanto Mattarella non può fare niente».
Ecco il punto politico, fondato sulla prospettiva che tra ventiquattr’ore si apra al Quirinale un drastico vuoto di potere che farebbe del capo dello Stato un’autorità disarmata. Non è così. Non del tutto, almeno. A Mattarella restano intatti i poteri di nomina, di firma, di rinvio delle leggi, di inviare messaggi al Paese, oltre alla prerogativa di usare la moral suasion, ormai entrata nella Costituzione materiale.
Certo, se i partiti più inquieti, pur di lucrare consensi o di preservare i voti mantenuti nonostante le fratture interne (come Lega e M5S) determinassero una crisi senza rimedio, tutto si complicherebbe per il Quirinale. Al quale resterebbero poche opzioni. La prima: mantenere l’esecutivo dimissionario in carica per l’ordinaria amministrazione, e la storia della Prima Repubblica ci consegna esempi di premier sfiduciati che, tra verifiche e negoziati, tirarono a campare per più di 200 giorni (senza trascurare i precedenti di Belgio e Austria, dove si traccheggiò per più di un anno). La seconda opzione: consapevole di trovarsi davanti a una crisi ingestibile, che diventa di sistema, Mattarella la fa precipitare dimettendosi e da quel passaggio lo scioglimento delle Camere dipenderebbe dal suo successore. Non sono solo congetture estreme. Ed è meglio incrociare le dita.

Se ha fatto il patto sui migranti Renzi va processato

Roma, 12.07.2017 controinformazione - Secondo l’ex ministro degli Esteri del governo Letta, Emma Bonino, dal 2014 al 2016 il governo Renzi si sarebbe impegnato per conto dell’Italia, d’accordo con altri governi europei, ad accogliere tutti i migranti che giungevano in Europa. E fin qui nulla di nuovo, visto che ciò è scritto nero su bianco sugli accordi relativi all’operazione Triton.
Il problema sorge se, come ha lasciato velatamente intendere l’ex ministro della Difesa del governo Letta, Mario Mauro, ciò fosse avvenuto in cambio di una maggiore flessibilità da parte dell’Ue sui nostri conti pubblici, circostanza non scritta evidentemente da nessuna parte, ma tutto di un eventuale accordo segreto tra il governo Renzi e l’Ue.
In cambio di una flessibilità, che gli serviva a scopi politici, è possibile che Renzi abbia tradito il Paese, consentendo l’invasione migratoria, indirizzata unicamente sul nostro territorio? Le dichiarazioni della Bonino e di Mauro, se lette insieme, a tanto porterebbero. Molti ne hanno parlato, avanzando critiche anche dure, ma nessuno ha sottolineato un punto decisivo: se un accordo di quel tipo vi è stato, come l’accordo segreto di scambio tra petrolio e migranti a Malta (di cui su Libero si è già data notizia), la cosa avrebbe persino riflessi penali.
Vi sarebbero infatti responsabilità penali, oltre che politiche, in capo all’ex presidente del Consiglio ed eventuali ministri in concorso con lui. L’art. 243 del codice penale recita: «Chiunque tiene intelligenze con lo straniero affinché uno Stato estero muova guerra o compia atti di ostilità contro lo Stato italiano, ovvero commette altri fatti diretti allo stesso scopo, è punito con la reclusione non inferiore a dieci ami. Se la guerra segue o se le ostilità si verificano, si applica l’ergastolo».
La finalità della condotta non deve essere necessariamente la guerra, ma un qualsiasi atto di ostilità verso lo Stato. E, a quanto pare, di accordi segreti si tratterebbe, visto che Renzi si difende parzialmente dichiarando che gli accordi Triton sono scritti nero su bianco, lasciando senza risposta l’altra parte del problema, quello dello scambio con la flessibilità di cui non si fa nessun cenno in tali accordi.
La norma del codice penale punisce la condotta di chiunque stipuli accordi con lo straniero, di qualsiasi tipo, al fine di indurre lo Stato estero (o più Stati esteri) a muovere guerra o comunque a compiere atti di ostilità verso lo Stato italiano, i quali non necessariamente debbono tradursi in atti di violenza. Quali sono quindi gli «atti ostili»? Le «cessioni di sovranità» rientrano nel novero degli atti ostili puniti dall’art. 243 del codice penale? Si parta dal presupposto che l’articolo citato punisce i delitti contro la personalità dello Stato, quindi contro i suoi tre elementi costitutivi: popolo, territorio e potestà di imperio. Venisse meno anche solo uno di essi, verrebbe meno anche lo Stato.
Renzi, in cambio di una flessibilità sui conti, che tra l’altro di fatto non c’è stata, avrebbe ceduto una parte ulteriore della nostra sovranità nazionale. E se qualcuno cede porzioni di sovranità nazionale in segreto, senza accordi trasparenti, compie certamente atto ostile nei confronti e a danno dello Stato. In nome di chi avrebbe agito il governo Renzi per quello scellerato accordo (segreto) con lo straniero? Perché di straniero si tratta, parliamoci chiaro. In nome di chi o di cosa, e con chi, Renzi avrebbe barattato la questione migranti con una maggiore flessibilità sui conti pubblici? E a giovamento di chi?
Al fine di fare chiarezza urgono, a nostro avviso, due cose 1) un pubblico ministero che apra un fascicolo e indaghi sulla vicenda; 2) una commissione parlamentare d’inchiesta che faccia luce su questa brutta storia. La cosa più sorprendente è che tutti ne continuino a parlare, ma nessuno faccia veramente qualcosa. I pubblici ministri sembrano poco interessati e le forze politiche (tutte) anche. Tanto rumor per nulla, in fondo.

G7: Prodi, nuovi leader dovranno "nasarsi"

ROMA, 22.05.2017 ansatiscalinotizie - "Non dobbiamo attenderci dal G7 niente più che degli orientamenti e degli scambi di opinione, seppure importantissimi. Gli ultimi G7 non sono stati all' origine di decisioni e considerando che per quattro di loro sarà il primo G7, i leader dovranno 'nasarsi' l'uno con l'altro. Ci sono ben quattro partecipanti nuovi, tra cui il presidente americano, l'uomo più potente di tutti". E' quanto ritiene Romano Prodi in un'intervista all'ANSA in vista del G7 di Taormina. "Vedremo se si creerà una dinamica collettiva tra i leader: speriamo che la bellezza del posto aiuti. Certo, il teatro greco era anche il luogo dove si recitavano le tragedie greche, quindi il richiamo alla storia potrebbe avere un risvolto negativo: mi auguro invece si crei chimica positiva, pur non attendendo per quest'anno decisioni", aggiunge l'ex premier e presidente della Commissione Ue. Oltre che per Trump, a Taormina sarà la prima volta per Theresa May, Emmanuel Macron e Paolo Gentiloni.